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È morto lo scrittore Milan Kundera, lo scrittore che raccontò l’insostenibile leggerezza dell’essere

Aveva 94 anni. La sua opera più nota è il romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere. Da giovane Milan fu jazzista e la musica sarebbe rimasta sempre al centro dei suoi interessi, insieme al teatro

È morto lo scrittore Milan Kundera. L’annuncio è arrivato da Czech Television. Era nato a Brno il 1º aprile 1929. Romanziere e saggista ceco, aveva 94 anni. Lo scrittore, autore di romanzi che hanno cambiato la letteratura del Novecento, a partire dal più noto L'insostenibile leggerezza dell'essere è stato uno dei massimi rappresentanti del romanzo della fine del Novecento, più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, senza mai vincerlo.

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Il volume principe

C’è, incastonato in L’Insostenibile leggerezza dell’essere un «piccolo dizionario delle parole fraintese» dove, alla voce musica, Milan Kundera sembra parlare di sé attraverso i pensieri di Franz, uno dei quattro protagonisti, che ha appena fatto l’amore con Sabina: «Si rese conto che, dalla giovinezza, non aveva fatto altro che parlare, scrivere, fare lezione, pensare frasi, cercare formulazioni, correggerle, sicché alla fine nessuna parola era precisa, il loro senso sfumava, sbiadiva, perdevano contenuto e si trasformavano in briciole, in crusca, in polvere, in sabbia che gli vagava per il cervello, gli faceva male alla testa, era la sua insonnia, la sua malattia. E in quell’istante desiderò, in maniera confusa ma intensa, una musica vastissima, il rumore assoluto, il frastuono bello e allegro che abbraccia ogni cosa, che inonda e assorda, e nel quale scompariranno per sempre il dolore, la vanità e la vacuità delle parole».

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La tentazione diabolica

Da un certo punto di vista, è stato il suo sogno impossibile, o forse la tentazione diabolica per uno scrittore. Kundera ha vissuto di parole, facendole oggetto di un lavoro interminabile e spietato, e con l’obiettivo di poter «scomparire dietro la propria opera» secondo il precetto di Flaubert. A tutte le domande: lei è un comunista, lei è un dissidente, è di sinistra o di destra, rispondeva: sono un romanziere. Era un romanziere inseguito dalla storia, che non se ne sentivo braccato anzi aveva con essa una forma diciamo così di negoziazione. E’ persino stato un attivista politico, in gioventù e poi un giovane scrittore impegnato nella battaglia politica. Ma sapeva bene quale fosse il suo ruolo, si direbbe il suo destino.

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La storia e i libri

Nel ’68 diviene un simbolo della Primavera di Praga, cui partecipò pagandone ovviamente il prezzo, a partire dal ’70, della totale emarginazione, che lo costringe a vivere di espedienti, svolgere lavori manuali, persino compilare oroscopi (sotto falso nome) per sopravvivere, come sarà per il Tomáš dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, libro decisivo, il grande libro del grande choc, la silenziosa ribellione della vita contro le ideologie, contro il kitsch, contro la retorica del progresso e le falsificazioni intellettuali. Lo scriverà nell’82 per pubblicarlo in Francia nell’84, dove vive ormai dal ’75. Ma c’erano ben prima stati altri romanzi assai più esplicitamente critici nei confronti dell’ottusità comunista, come Lo scherzo (1967), Il valzer degli addii (1972) La vita è altrove (1973), storia grottesca di un giovane poeta di regime per il quale «forse polizia e poesia vanno molto più d’accordo di quanto alcuni non pensino», Il libro del riso e dell’oblio (1978).

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Quello di Kundera è un esilio volontario, perché le autorità cecoslovacche preferiscono liberarsene senza clamore, consentendogli emigrare. E la Francia è il paese di lezione, alla cui cultura è legatissimo, e dove la comunità intellettuale lo ha sempre accolto con amicizia e grane interesse. La Francia è per lui soprattutto l’Illuminismo, e Kundera, tutto sommato, è proprio questo: un “allievo” (o un compagno di strada) di Diderot, con il quale condivide anche un’idea sorridente e vagamente pessimistica della sessualità, come forma di libertà in qualche modo condizionata. E’ un tema che si ripresenta in varie forme in tutti i suoi libri. Insegna all’Università di Rennes, poi si trasferisce a Parigi. Quando esce Il libro del riso e dell’oblio (1979) gli viene tolta la nazionalità cecoslovacca. Due anni dopo avrà quella francese. La nuova patria scelta esplicitamente diviene anche quella linguistica. Dal ’95, con La lentezza, scriverà direttamente in francese, anche se in ceco è ancora il suo maggior successo, che è anche il punto di svolta nella sua vita di autore.

La grande notorietà internazionale cambia tutto. «Nel giugno 1985, ho fermamente deciso: mai più interviste. Salvo i miei diritti d’autore, a partire da questa data qualunque mia dichiarazione riportata deve essere considerata come un falso” leggiamo – è un suo laconico biglietto, ripostato nella biografia che gli ha dedicato di recente Arianne Chemin (Nome in codice Elitar I, NR Edizioni), anzi più che una biografia un lungo e amorevole assedio con il tramite della moglie: dove si fa chiarezza anche su uno scandalo giornalistico nato quando sembrò, da un documento d’archivio ritrovato fortunosamente, che Kundera, ventenne, avesse denunciato un amico alla polizia del regime. In realtà, fu una montatura politico-giornalistica, perché il documento è molto vago e non costituisce una prova, soprattutto in un’epoca in cui tutti erano considerati possibili informatori, sia che lo fossero sia che non ci pensassero nemmeno.

La vita dello scrittore, nato a Brno, figlio di un musicista, cresciuto nel partito comunista, attivista entusiasta da ragazzo, poi espulso, poi riammesso, infine emarginato e «cancellato» dal regime come cittadino e intellettuale, è un lungo confronto con la tragedia del comunismo in Europa, sempre laterale, sempre attento ai particolari, alle letture secondarie e alle prospettive meno ovvie, che magari qualcosa ci può ancora insegnare. Lo stesso procedimento, del resto, ha applicato alla società occidentale. Ma la sua opera va oltre. E ci parla del destino della letteratura, della sua ineluttabilità, e di una funzione apparentemente semplice, in realtà smisurata; come leggiamo in una raccolta di saggi e interviste dal titolo L’arte del romanzo, infatti, c’è per lui una sola cosa che la letteratura può veramente fare: «Ogni romanzo dice al lettore: le cose sono più complicate di quel che tu pensi».

Pubblicato su Il Piccolo