Premio Strega 2023, vince Ada d’Adamo con “Come d’aria”
Il riconoscimento della competizione letteraria va alla scrittrice morta ad aprile che nel libro pubblicato da Elliot racconta l’intenso e doloroso rapporto con la figlia
Il Ninfeo ciarla. Ha atteso la proclamazione del romanzo vincitore della settantasettesima edizione del Premio Strega, Come d’aria di Ada d’Adamo, con un’apprensione allegra. Pochi gli ottuagenari, numerosi gli splendidi cinquantenni, non radi i trentenni. Niente buffet (era quello che richiamava gli ottuagenari, specie del centro, le principesse della Grande Bellezza). Viene servito da bere e orribili coppe gelato colloso. C’è stata una cena di gala, la prima della storia del premio, per pochi, al Caffè delle Arti, pochi passi dal Ninfeo, con tanto di “trasferimento” alla cerimonia di premiazione, dopo.
Vittorio Sgarbi arriva dall’ingresso principale. Solo con un paio di amici. Un tempo arrivava alla fine. Va verso il ministro Sangiuliano. Non si siedono vicino.
Un minuto dopo arriva Francesco Piccolo, con fiore sul cuore. Dice: «È per Ada». Ada D’Adamo, la vincitrice. Mario Martone, anche lui per Ada, «amica di una vita», dice. Al primo spoglio, il solo applauso parte quando Geppi Cucciari fa il suo nome.
Tra i tavoli, i discorsi origliati: uno, lo sciopero dei mezzi. Due, vacanze sì, no, se sì dove e con chi. Tre, la seduta spiritica. Se n’è favoleggiato molto a qualche aperitivo, su qualche chat: a fine giugno, le forze dell’altro mondo sono state interrogate sull’esito finale, da una delle due fazioni contendenti (è lo Strega del bipolarismo, l’anno scorso è stato quello dell’extraparlamentarismo, avendo vinto, con plauso quasi unanime, il romanzo di Mario Desiati, Spatriati, ovvero «gli irregolari, gli inclassificabili»). L’anno scorso, Desiati aveva dedicato il suo Strega a Mariateresa Dilascia, che vinse lo Strega nel 1995, e morì prima di riuscire a ritirarlo. Una circolarità impressionante.
La vittoria, mesi fa, era stata data per certa a Rosella Postorino con Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli), il solo romanzo - è stato sottolineato a più riprese - che inventa una storia (e la ambienta nella Storia, precisamente durante la guerra in Bosnia, presente anche l’anno scorso in cinquina con E poi saremo salvi di Alessandra Carati, Mondadori). Il suo libro ruota intorno all’impossibilità umana di svincolarsi dal fatto che, a un certo, quello che ci protegge, ci uccide, e se non ci uccide ci cambia, ci violenta. Dice Postorino: «È la contraddizione stessa dell’esistenza: prima o poi, la vita che ci è stata data ci ucciderà».
La morte di Ada D’Adamo, che ha vinto con Come d’aria (Elliott), ha cambiato tutto. D’Adamo, studiosa di danza e danzatrice, è morta il primo aprile, della malattia di cui ha scritto nel suo libro, dopo aver passato una vita ad accudire sua figlia, anche lei gravemente malata, ora senza madre. La sua morte ha cambiato le carte in tavola, riacceso la competizione, creato una guerra tra bene e male, e il bene era votare d’Adamo.
Prima, l’altra possibile contendente era stata Romana Petri con Rubare la notte (Mondadori), biografia molto romanzata di Antoine de Saint-Exupéry. Ma lo Strega, da anni, sembra felice di rifilare Mondadori agli ultimi posti (l’ultima clamorosa retrocessione era stata quella di Teresa Ciabatti, nel 2021, con Sembrava bellezza, all’inizio data per vincitrice e poi addirittura finita fuori dalla cinquina). Gli altri due finalisti, Andrea Canobbio (La traversata notturna, La Nave di Teseo) e Maria Grazia Calandrone (Dove non mi hai portata, Einaudi), hanno gareggiato per partecipare. Da tempo non era tutto così chiaro.
La direzione di Stefano Petrocchi ha dato, da anni, molte sorprese. Petrocchi ha fatto allo Strega quello che Amadeus ha fatto a Sanremo: ne ha allargato i confini, talvolta attraverso meccanismi di quote che hanno fatto bene al mistero e male alle pressioni dei grandi editori, ormai sempre meno efficaci. Da tempo, è tutto parecchio emotivo. Nel saggio Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario (Nottetempo), il critico Gianluigi Simonetti scrive che la selezione stregata rappresenta perfettamente la mutazione della critica letteraria: affidata sempre di più a «giornalisti di costume, tuttologi e altri scrittori», predilige libri che abbiano un forte impatto emotivo e che assicurino un «intrattenimento universale», trascurando gli aspetti di stile, lingua, invenzione. I romanzi in finale allo Strega sono la misura della letteratura italiana o della critica letteraria italiana? La critica letteraria dovrebbe condizionare la scrittura? Se così fosse, sarebbe terribile: la critica letteraria, semplicemente, deve vedere e spiegare quello che succede. E succede che ai soli libri non di genere, ma di narrativa, che entrano in classifica senza ausilio di TikTok, tv, e influencer, è richiesto il racconto di qualcosa in cui ritrovarci tutti, e quel qualcosa ha a che fare con la vita, che per chi scrive è la letteratura.
Se la vittoria di D’Adamo sia stata assegnata alla sua storia o alla scrittura: questo è il nodo. Tra vita e scrittura non c’è, forse, più mediazione. Ci sono i lacci. Ed è l’orizzonte nuovo che dobbiamo osservare.
Pubblicato su Il Piccolo